Edilcommercio incontra… Massimiliano Frascino, Presidente della Fondazione Il Sole

di Alessandro Vergni

Edilcommercio è una delle aziende Alla Luce del Sole, il programma di partnership e sostegno ai progetti della Fondazione Il Sole che a Grosseto si prende cura di persone affette da disabilità. Abbiamo incontrato il presidente Massimiliano Frascino per conoscere meglio questa realtà del nostro territorio.

Massimiliano, parliamo di quale è la filosofia con la quale è nata la Fondazione Il Sole.

Siamo nel 2005, nella Toscana che obiettivamente godeva già allora di una buona reputazione nel campo dei servizi sociali. Eppure la Fondazione è nata per rispondere ad un bisogno che non trovava ancora risposta.

Da un po’ di anni alcuni genitori di persone con disabilità, chiedevano alle istituzioni un cambio di passo che il sistema non era in grado di compiere, passare cioè dal semplice approccio assistenziale alla tutela e garanzia che la persona con disabilità potesse svolgere una vita relazionale, sociale e lavorativa. Certo, questo sarebbe potuto avvenire non in tutti i casi, ma avrebbe rappresentato un completamento del riconoscimento dei diritti della persona. Era certamente, e per certi versi continua ad essere, un passaggio complicato; innanzitutto perché si continua a pensare ai disabili come a dei malati e non come a delle persone che vivono una situazione diversa. Il primo bisogno per una persona con disabilità infatti è che si creino delle condizioni affinché egli possa svolgere una vita normale a partire dai suoi deficit. Per questo il primo aspetto da mettere al centro è il problema relazionale. L’altro aspetto di criticità è poi di tipo economico perché, per persone che non sono autosufficienti e che hanno bisogno di un ambiente protetto nell’arco di una vita che si è allungata, ciò significa costruire un meccanismo che le aiuti a vivere un sistema di relazioni, che sgravi anche i familiari, il che è molto costoso.

Quale è dunque la strada intrapresa dalla Fondazione per realizzare questo progetto?

Abbiamo detto: dobbiamo creare un sistema che offra un maggior livello qualitativo della vita alle famiglie e alle persone con disabilità, perché i due aspetti si intersecano. Dobbiamo occuparci sia del durante noi, cioè del tempo della vita in cui i familiari sono presenti, sia consentire alle persone con disabilità di avere relazioni anche nel dopo di noi. Ci siamo poi domandati: per far stare a proprio agio una persona con se stessa, per farla venire la mattina alla Fondazione e metterci del suo, cosa possiamo fare? Bisogna creare per loro occasioni di relazioni umane, la cosa più banale del mondo, che richiede però tatto personale, molta duttilità e quindi costi elevati. Per dare questo tipo di risposta allora è stato molto importante convincere i genitori che usare i soldi dell’assegno di accompagnamento e della pensione di invalidità finché i propri figli sono giovani non è buttare via soldi, ma garantire a loro come genitori e ai loro figli delle condizioni di vita migliori. L’originalità della Fondazione, sin dall’inizio, è stata questa: capire che o agivamo così, o saremmo stati un altro soggetto che avrebbe chiesto inutilmente al servizio pubblico di cambiare approccio; un processo oltretutto dai tempi molto lunghi. E poi non volevamo vivere recriminando. Bisognava agire alla svelta e andavano trovate le risorse necessarie, anche per essere autonomi senza essere conflittuali.

Che tipo di persone frequentano le vostre attività?

Potrei farti un elenco lunghissimo di disabilità diverse fra loro: Sindrome di Down, sindrome di Williams, Còrea di Huntington, sindrome X fragile, autismo, sindrome di asperger, paralisi cerebrale, ritardo mentale e chi più ne ha più ne metta. Ma bisogna ricordare che la persona non è la sua disabilità. Ciò che accomuna chi frequenta le nostre attività, in senso generale, è il fatto che si tratta di persone non autosufficienti. Cioè a dire, di persone che da sole non sarebbero in grado di autogestirsi completamente la vita. A prescindere dal fatto che camminino o mangino da sole, che parlino o non parlino, che abbiano deficit fisici o psichiatrici.

In cosa pensate di distinguervi rispetto all’approccio?

Che non facciamo differenza tra disabilità diverse, o tra persone con disabilità e persone con disturbi psichiatrici. Superata l’età evolutiva, nel corso della quale le terapie hanno un peso rilevante perché consentono di recuperare una parte dei deficit di cui la persona è portatrice, i bisogni per tutte le persone sono gli stessi: relazioni umane, sociali e affettive/sessuali; affinamento del livello di autonomia a seconda delle diverse caratteristiche; attività che diano una motivazione a metterci del proprio; percorsi educativi per stimolare il livello cognitivo e comportamentale; se possibile lavorare. Questi bisogni sono trasversali a qualunque tipologia di disabilità, e se guardiamo bene a qualunque persona, disabile o meno che sia. Noi non ci occupiamo di patologie, nè di cure. Cerchiamo più modestamente di lavorare sull’autonomia e sulla libertà delle persone. Perché l’altro grande problema che assilla le persone con disabilità, oltre alla mancanza di relazioni, è quello che c’è sempre qualcuno che decide al posto loro cosa debbano fare.

Quali sono gli strumenti operativi che aiutano oggi la Fondazione a sostenersi?

Sicuramente un fundraising ben strutturato: 5 per mille, donazioni dai privati e il progetto Aziende alla Luce del Sole di cui anche Edilcommercio fa parte. Questo ha voluto dire investire molto anche nella comunicazione per coinvolgere il territorio. Sul versante aziende la nostra filosofia non è tanto quella di chiedere soldi e poi ci vediamo il prossimo anno, o di proporre uno scambio di pubblicità o un’iniziativa spot; no, la nostra scommessa è provare a convincere le aziende che rimanere con noi nel tempo rappresenta una crescita della loro reputazione e un modo di farsi carico, all’insegna della responsabilità sociale, di un problema della comunità. Un’azienda ad esempio come Edilcommercio, che opera da tanti anni nel nostro territorio ed ha tanti rapporti, non si limita così alla mission principale che è quella commerciale , ma si prende anche cura di un tema di rilevanza sociale che fa parte dell’ambiente in cui opera.

In che altro modo le aziende possono contribuire al sostegno dell’opera della Fondazione?

Al di là del sostegno economico, direi aprendo le loro porte, creando, laddove possibile, occasioni di incontro con le persone disabili; occasioni nelle quali loro possono visitare una realtà lavorativa, o partecipare a qualche attività. Sono esperienze che fanno già parte del nostro percorso e che per i ragazzi rappresentano molto perché premettono loro di aprirsi all’esterno e ad una vita normale.

Concludendo ti domando: quali sono oggi le barriere ancora da rimuovere verso le persone con disabilità e quale è l’obiettivo del vostro impegno quotidiano?

Prima di tutto una barriera di tipo culturale, ma dentro questa, quella più difficile da abbattere resta il convincimento che le persone spesso pensano: “in fondo, poverino, può fare tutto quello che può fare, ma non godrà mai della vita per quello che è davvero, perché non è consapevole, non è autonomo e così via”. Mettiamoci invece in un’altra logica: se quella persona è nata con quel deficit, quella persona non conosce un altro mondo, ma lo conosce attraverso i suoi strumenti. Occorre quindi venirgli incontro e accompagnarlo lavorando su quegli strumenti, perché potrà fare una vita ottima e di qualità, in quanto non deve raggiungere gli obiettivi miei o tuoi, deve raggiungere i suoi. Ci siamo accorti che se lavoriamo su questo le persone vivono serene e appagate. Non esistono solo le persone disabili da copertina, i cosiddetti super disabili, la gran parte sono persone normali con deficit importanti. Per questo non possiamo dire che una vita ha meno qualità di un’altra. Questo è la barriera più difficile da rimuovere e insieme rappresenta l’obiettivo principale da raggiungere, con l’aiuto di tutti.